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"I'm brave but I'm chicken shit"

Chiacchierata con Luca Valotta

Mi è capitato qualche volta di conoscere e parlare con persone che svolgono attività molto diverse dalla mia, e che durante il corso della loro carriera sono riusciti a “costruire” qualcosa o che gestiscono asset di ordini di grandezza più grandi rispetto agli ambiti che mi capita di frequentare quotidianamente. Spesso la conversazione si rivela interessante: alcuni hanno un forte carisma, altri idee brillanti o visioni particolarmente interessanti. Di altri ancora è affascinante sentire la storia.

Ma più di tutto mi piace sbirciare i lati più umani del carattere, le cose che accomunano tutti, i tic, i modi di dire, tutte quelle sfaccettature che l’immagine pubblica o istituzionale tendono a far sparire dietro lo schermo di una paludata ufficialità.

Per questi motivi, quando mi è stato chiesto se volessi incontrare Luca Valotta, presidente e direttore generale di Virgin Active Italia, ho accettato con piacere.

43 anni, fisico asciutto, vestito in modo informale anche dopo l’occasione ufficiale al margine della quale lo incontro, la mia “genovesità” mi aiuta a cogliere alcune sfumature che tradiscono le sue origini liguri: pochi sorrisi, aria seria, cordialità che non lascia spazio alle smancerie. La sua è una storia di successi: dopo l’avviamento di una catena di centri fitness, 9 anni fa Richard Branson lo sceglie per dirigere Virgin Active in Italia. Oggi VAI ha circa 25 centri ed è leader di mercato in Italia nel suo settore, dà lavoro a quasi 1.000 persone e ha circa 120.000 clienti. Non ricordo il fatturato esatto, ma è una cifra di tutto rispetto.

Luca Valotta parla bene e sostiene dettagliatamente le sue argomentazioni, io sono andato a braccio e non ho preso appunti; riporto alcuni passi della chiacchierata che mi sono parsi interessanti. Le dichiarazioni sono a mia memoria, non “virgolettate” e riassunte da un’esposizione molto più lunga e articolata.

Visti i tempi che stiamo vivendo, la prima cosa che mi è venuta in mente di chiedergli è stata più o meno: “Come va il mercato del fitness? E come andate voi?” Le palestre Virgin Active sono strutture particolarmente complete e l’offerta è tesa a coprire ogni aspetto del benessere personale, ma i prezzi sono adeguati al livello e non sono esattamente entry level.

Non siamo più ai livelli dell’inizio degli anni 2000, ma per la nostra azienda le cose vanno abbastanza bene: il fatturato tiene e sono ottimista per il futuro. 

A questo proposito: “Strategie particolari per sopravvivere alla crisi? Avete tirato i remi in barca?”

Niente affatto: solo per quest’anno sono previste altre 5 aperture. Vogliamo crescere malgrado le circostanze.

“Siamo liguri: Genova e la Liguria stanno invecchiando e fanno sempre più fatica a sostenere il travagliato passaggio da un’economia basata sull’industria a un terziario che fatica a decollare. Tu sei un manager di successo: come la vedi?”

Il problema non è solo economico: è anche sociale e di mentalità e vale per l’Italia tutta. L’economia e l’industria si scontrano oggi, diversamente da qualche decennio fa, con la globalizzazione della produzione: è sempre più difficile essere competitivi industrialmente con altre zone del mondo che per opportunità, economie di scala, diversi assetti sociali, sono in grado di esprimere una produzione assolutamente competitiva nei nostri confronti. In poche parole: c’è sempre qualcuno, e ce ne saranno sempre di più, che è in grado di produrre le cose più efficacemente di noi, che ci troviamo lentamente spinti fuori dal mercato. E la ricetta per essere nuovamente competitivi è abbandonare la vecchia mentalità e concentrarci sulle eccellenze che ci contraddistinguono.

Con piglio imprenditoriale, scende anche nel merito, indicando:

Tre cose peculiari su cui dovrebbe puntare l’Italia: design, l’eno-gastronomia e il turismo paesaggistico e culturale. I milioni di abitanti delle economie in forte sviluppo, che nei prossimi anni saranno i nuovi ricchi, sono i “clienti” a cui puntare. E, tornando a Genova, proprio Genova e la Liguria devono completare la transizione e sviluppare una nuova cultura dell’ospitalità, per puntare a una rinascita economica.

Ecco, qui io sono più pessimista: la proverbiale torta di riso è finita da un pezzo.

Gli chiedo della sua azienda: sul sito web, peraltro molto ben fatto, c’è addirittura un codice etico, la sua mail è in chiaro a disposizione di tutti, e l’attenzione verso i dipendenti sembra molto alta. “Non è che alla fine siete un franchising e sono tutti contratti a progetto che scadono come lo yogurt?”

Assolutamente no: tutte le strutture sono di nostra proprietà e il personale è assunto con contratti a tempo indeterminato. Solo i personal trainer che lavorano nelle nostre strutture sono liberi professionisti. Alla fine dei conti diamo lavoro a quasi 2.000 famiglie.

“I vostri profili sui social network sembrano ben presidiati e sono ricchi di contenuto: vi capitano mai le crisi da gestire online, magari per un cliente insoddisfatto o per qualche troll(*)?”

Certo, come a tutte le aziende con una forte presenza online. Abbiamo un ufficio apposito per gestire i clienti insoddisfatti, che si occupa di accogliere le critiche e valutarle caso per caso. Abbiamo un tasso di soddisfazione dei nostri soci tra i più alti, certificato da una società esterna.

Gli chiedo se viene fatto qualcosa nel “sociale”, per diffondere la cultura dell’alimentazione sana e del movimento, qualcosa che vada al di là dell’attività istituzionale.

Questo tipo di interventi va fatto principalmente sui bambini e sui giovani, perché abbia efficacia. Non è semplice per tutta una serie di motivi, anche evidenti. Il grosso del lavoro lo facciamo all’interno dei nostri centri, che cerchiamo di strutturare a misura di famiglia, ma facciamo anche qualcosa con le scuole.

Prima di incontrare Luca Valotta ho cercato di farmi un’idea e mi sono reso conto che c’è poco di “personale” in rete. Allora gli ho chiesto: “Qual è il tuo rapporto con la tecnologia?”. Mi ha parlato del sito web e degli sforzi fatti per coinvolgere i soci con una intensa attività online che completasse l’esperienza vissuta nei centri VAI.

Peccato, perché speravo in una risposta più personale, per i motivi a cui accennavo prima. D’altronde c’è stato davvero poco tempo e non ho avuto modo di chiedere di più.

Come dicevo, è sempre interessante incontrare persone fuori dal comune: c’è sempre qualcosa da imparare. Luca Valotta mi è sembrato una persona molto determinata, con opinioni precise e mi ha dato l’impressione di essere molto competitivo, cosa che non mi ha stupito visto il suo percorso professionale, e il fatto che l’ambito sia lo sport e il fitness non fa che sottolineare questo aspetto.

(*) Non ho detto “troll”, ho articolato il concetto.


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Commenti

Una risposta a “Chiacchierata con Luca Valotta”

  1. Avatar spongebob
    spongebob

    Cavolo, ormai sei più sponsorizzato di un servizio del TG5 della domenica mattina.
    😉